Abel Paz è stato a Roma dal 15 al 18 novembre 2006. Con i suoi 85 anni, ha incontrato compagni anarchici, vecchi amici, lavoratori e studenti. Ci ha raccontato la sua vita da miliziano nella rivoluzione spagnola, esule in Francia e prigioniero politico più volte. Una vita, la sua, aspra e appassionata, di dissenso radicale e inguaribile ottimismo. Abel narra con generosità e semplicità, con lucidi punti fermi e punti sospensivi. Raccogliamo scampoli dei suoi discorsi, gesti e ricordi e li rappezziamo in un abbecedario, che per forza di cose non è il suo, ma un alfabeto straniero. Inevitabilmente si perde qualche lettera. Sillabiamo un ritratto con poche linee. Spezzate, aggrovigliate o tratteggianti, come la memoria.
ABBECEDARIO
Ho imparato a leggere di nascosto, seduto tra la legna del cortile di casa. Vivevo con la mia famiglia in Almeria, un paese dell’Andalusia. La mia maestra è stata la proprietaria di un alimentari del paese, dove la mamma mi mandava a fare la spesa. Una volta mi domandò se sapevo leggere. Gli risposi di no. Mi disse di trattenermi un po’ ogni volta che fossi tornato, perché lei mi avrebbe insegnato. A casa ripassavo sottovoce i suoni delle lettere, le sillabe. Finché un giorno mia madre uscì al cortile e sentì che parlavo piano. Si spaventò, pensò che c’era qualcuno con me. Quando scoprì che studiavo l’abbecedario, mi baciò emozionata. Mia madre. Mio padre lo vedevo poco, andava a lavorare nei campi.
BARRICATA
Io sono nato in una barricata. La barricata di coloro che lavorano la terra e conoscono la fame e non hanno avuto un’infanzia. A 15 anni mi ci sono addormentato sopra, sognavo una società diversa, di uomini liberi e felici. E non sono più sceso da lì. Nella mia vita non ho fatto altro che lottare: 12 anni di carcere, 26 d’esilio, 3 di sanatorio. Adesso vivo a Barcellona con una pensione minima, e sono felice.
CNT
Abel si affilia alla Confederaciòn Nacional del Trabajo, sindacato anarchico, a 15 anni. Ha iniziato a lavorare come apprendista in una fabbrica tessile. In una fotografia dell’epoca ha le mani in tasca, le spalle ampie sotto una giacca di pelle, la fronte alta, pulita. Stringe le labbra e guarda dritto negli occhi del fotografo.
Nella CNT non c’era distinzione tra i dirigenti e gli iscritti. Eravamo in due milioni, e volevamo costruire una società diversa. Non facevamo la guerra per il gusto di farla. Guerra e rivoluzione erano una stessa cosa. Per 32 mesi abbiamo messo in atto esperienze di autogestione e collettivizzazione delle terre, abbiamo dimostrato che si poteva vivere senza denaro e senza pagare l’affitto, la luce, il gas.
DURRUTI
Durruti divenne un simbolo, ma come lui c’erano tanti al fronte. E questo lui lo sapeva. Morì presto, dopo soli 4 mesi dall’inizio della rivoluzione, da semplice soldato, come si è comportato sempre. Sapeva di dover morire. Come il Che Guevara o come Emiliano Zapata, capì che la rivoluzione si esauriva e doveva morire con essa. Il suicidio era l’unica via d’uscita, l’unica vera, per eludere il potere che altrimenti si sarebbe concentrato nelle sue mani. Preferì morire all’apice delle sue forze, da rivoluzionario, che diventare dittatore.
Dal ’36 sono passati 70 anni, ma 70 anni con la Rivoluzione, mai senza di essa.
Esule anche nella terra d’esilio. Abitatore dei confini. Da cui sembra aver tratto la sua intransigenza rivoluzionaria, la forza incendiaria delle parole, l’ironia. Abel parte in esilio per la Francia dopo il 26 gennaio del ’39, quando Barcellona cade nelle mani dei franchisti. Ma poco dopo viene internato nei campi di concentramento francesi, come molti altri esuli antifranchisti. Ritorna in Spagna nel ’42 ed entra a far parte della guerriglia libertaria che combatte contro la dittatura. Viene arrestato nello stesso anno. E nel carcere, nuovo territorio di confine, inizia a scrivere. Saggi sulla rivoluzione, memorie, una delle più complete biografie di Durruti. Qualche manoscritto scompare nelle mani degli editori, qualche altro viene mutilato. Ma sono già vari i suoi libri pubblicati e tradotti. Liberato nel ’52 torna in Francia e ci rimane fino al ’76. Nella terra d’esilio vive suo figlio, Ariel. Dopo la morte di Franco torna a Barcellona, dove abita ancora oggi.
FILM
È un grande cultore di film. Manel, che viaggia con lui, ci racconta che a casa ha una delle cineteche più complete di Barcellona. Parla di Tierra y libertad, di Ken Loach. Durante le riprese, Ken Loach capì ciò che è stata la rivoluzione in Spagna. L’idea originaria del film era diversa, escludeva molti aspetti della rivoluzione. Ma sul set Loach vide di prima persona l’eredità che ha lasciato. Gli attori mangiavano separatamente dagli altri impiegati e collaboratori, ognuno secondo il ruolo che aveva. Ma si decise di mangiare tutti insieme, le stesse cose. E questo cambiò la rotta del film, lo fece diventare un vero canto alla rivoluzione.
GUERRA
Quella spagnola non è stata una guerra civile. I reazionari non hanno fatto un colpo di stato contro il governo, ma contro i movimenti libertari che avevano preso forza in tutta la Spagna. Si trattava, così, di una guerra dei ricchi contro i poveri, non di una guerra civile, come spesso si dice.
Noi siamo rimasti nelle retrovie a fare la rivoluzione. Ci rifiutammo di pagare gli affitti, si collettivizzarono le terre e ci riprendemmo le ferrovie che erano in mano ai francesi e le miniere affidate agli inglesi. Dopo i primi otto giorni di rivoluzione, la gente capì che doveva ritornare al lavoro. Questa è una peculiarità della rivoluzione spagnola rispetto ad altre, in cui la produzione venne riattivata dopo mesi. Si tornò al lavoro, ma senza padroni.
HIERRO, COLUMNA DE
Nella sua “Cronaca appassionata della Columna de Hierro” (Ed. italiana a cura di Mario Frisetti, Autoproduzioni Fenix, Torino 2006) Abel riporta un manifesto di questa colonna rivoluzionaria, costituita dai gruppi anarchici della regione del Levante. Queste sono le parole finali: “…con tutti i nostri uomini, con tutte le nostre energie, con tutto il nostro entusiasmo, lotteremo fino a schiacciare per sempre il vile fascismo. Ma non lottiamo, intendiamoci bene, per conservare una Repubblica né per instaurare un nuovo regime statale. Lottiamo per realizzare la Rivoluzione Sociale. […] Al fronte o nelle retrovie, là dove siete: lottate contro tutti i nemici delle vostre libertà, stroncate il fascismo. Ma impedite che con il frutto dei vostri sforzi si instauri un regime dittatoriale, che sarebbe la continuazione, con tutti i vizi e difetti, dello stato di cose che cerchiamo di far scomparire. Ora con le armi, domani con gli attrezzi da lavoro, imparate a vivere senza tiranni, a liberarvi da soli, unica strada verso la libertà”.
INCONTROLADOS
Nel ’37 gli stessi dirigenti della CNT e della FAI, che ormai occupavano cariche istituzionali, imposero la militarizzazione di tutte le colonne libertarie, sostenendo che fosse l’unica via d’uscita di fronte all’avanzata del franchismo. La rivoluzione si smarriva nelle vie istituzionali e al fronte mancavano le armi e languivano le forze. Ma gli “incontrolados” della Colonna di Ferro si sottrassero a tali direttive fino all’ultimo, fino a quando l’unica alternativa fu la dissoluzione.
Temerari e schivi, si ostinavano ad affrontare il nemico quasi a mani nude, disarmati, senza provviste. Restii a giungere a compromessi col potere. Il “testamento di un incontrolado”, che riporta Abel nel libro prima citato, è un documento sentito dello spirito che animava la lotta, ma ancor prima un testamento politico. L’autore, che si firma semplicemente come “un incontrolado della Columna de Hierro” era stato liberato dal carcere dai miliziani della colonna cui aderì successivamente.
“Insieme a me uscirono molti uomini che avevano ugualmente sofferto, ugualmente segnati dai maltrattamenti subiti dalla nascita. Alcuni, non appena calcarono la strada, se ne andarono per il mondo; noi altri ci unimmo ai nostri liberatori, che ci trattarono come amici e ci amarono come fratelli. Con essi, poco a poco, abbiamo formato la Colonna di Ferro. […] E ci siamo nutriti per un certo tempo di quel che ci offrivano i contadini, e senza che nessuno ci facesse dono di un’arma, ci siamo armati con ciò che avevamo tolto ai militari insorti con la forza delle nostre braccia.
[…]
… tutte le sofferenze, tutto il passato, tutti gli orrori ed i tormenti che hanno segnato il mio corpo, li gettavo al vento come se fossero di un’altra epoca, e mi abbandonavo allegramente a sogni di avventura vedendo con la febbre dell’immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero vissuto, ma che desideravo.
[…]
E così tra pene e gioie, tra l’angoscia ed i pianti, ho passato la mia vita, vita felice in mezzo al pericolo, in confronto a quella vita torbida e miserevole della torva e misera galera”1.
L- LENZUOLA
Entravamo nei palazzi dei ricchi e prendevamo le cose necessarie per il fronte. Un giorno una compagna trovò delle lenzuola bellissime, tutte ricamate, e disse a Durruti: “ Queste me le tengo per quando tornerò a casa, quando tutto sarà finito”. E lui lei rispose: “ Non finirà mai. Quando la rivoluzione risulti vittoriosa in Spagna, andremo a farla in Francia, in Germania, in Russia… Siamo usciti di casa per non tornarci mai più”.
M- MEMORIA
Hanno sempre voluto demonizzare gli anarchici, ci hanno sempre dipinti con le corna, come dei diavoli. Ma la rivoluzione spagnola ha lasciato un’eredità profonda, nonostante abbiano voluto sotterrarne la memoria… Col tempo tutti sono cambiati, i franchisti si sono chiamati democratici… Solo noi anarchici siamo rimasti noi stessi.
N- NOME
Si chiama Diego Camacho. Questo è il nome che gli hanno dato i suoi genitori. Ma quando va via da casa a 16 anni e attraversa a piedi la Catalogna rurale, Diego si da un nuovo nome, di curiose risonanze bibliche: Abel Paz, perché dice: Io sono per la pace, non per la guerra. Ancora oggi firma i suoi scritti come Abel Paz, e gli è indifferente se lo chiamano Diego o Abel.
O- OKUPAS
Abel vive nel quartiere di Gracia, a Barcellona. Ricorda lo sciopero contro gli affitti del ’33, in cui mezzo milione di abitanti della città si rifiutarono di pagare l’affitto per 3 mesi. Racconta dell’appoggio popolare che hanno gli okupas a Barcellona, quando la polizia arriva a sgomberare. E si augura che tutti diventino Okupas. Che aprano brecce dove si può.
P- PROFESSORI
In Spagna non mi fanno parlare all’università. E non sono gli studenti, ma i professori a impedirmelo. Ripetono come pappagalli quello che gli hanno insegnato a loro volta i loro professori fascisti. Si insegna la filosofia, ad esempio… Ma la filosofia non si può insegnare. Bisogna essere filosofi. A me interessa soltanto la filosofia che insegna la vita, quella che impari vivendo.
Q- QUINDI
Con un’ultima boccata di fumo che vela lo sguardo sardonico, Abel conclude un suo discorso:
E quindi…Fate i bravi, statevene zitti, andate a lavorare, pagate le tasse…
R- RIVOLUZIONE
Non sono stato mai così felice in vita mia
come nei primi otto giorni della rivoluzione.
Le rivoluzioni sono sferzate che si danno contro la storia. Sono brevi, durano anche pochi giorni. E dovrebbero coinvolgere non un paese, ma un intero continente. Altrimenti succede come in Spagna, dove i paesi vicini si allearono per soffocarla. La rivoluzione spagnola è stata sconfitta militarmente dal franchismo, ma forse è nella disfatta che risiede la sua forza… Perché se fosse risultata vittoriosa si sarebbe trasformata in dittatura, come è successo a Cuba, o in Cina, o in Russia. La rivoluzione si è persa, ma è rimasta viva nella memoria della gente.
S- SCUOLE
A undici anni mi sono trasferito a Barcellona per andare a vivere con mio zio. Lì ho frequentato per due anni una scuola razionalista, di quelle fondate da Ferrer y Guardia. Si applicava una metodologia moderna, si cercava di creare le condizioni per formare una coscienza rivoluzionaria. Due anni… Due anni di scuola in tutta la mia vita…
T- TEMPO
Abel ascolta la domanda che gli rivolge un compagno. E prima di rispondere esita. Lo guarda, come volendo misurare la distanza di tempo che lo separa da lui. L’impossibilità di farsi comprendere. Ma nonostante tutto parla, e la sua voce viene, lo sentiamo, da un mondo così diverso. Che inizia coi ricordi della terra di Almeria e i piedi scalzi e un piccolo alimentari del paese.
Questo non è il mio tempo. Apparteniamo a tempi diversi.
E’ impossibile farvi capire le cose che ho vissuto.
U- UTOPIA
Bisogna essere utopici. Perché non si può smettere di lottare, di andare sempre più lontano. Bisogna cercare sempre nuovi ideali negli ideali. La vita è lotta, se non lotti sei morto.
V- VITTORIA
Appoggio le spinte regionaliste in Spagna, perché se si formassero stati regionali sarebbero comunque stati più piccoli, e quindi più facili da abbattere. Ma se gli anarchici vincessero, si opporrebbero allo stato anarchico, per formare una nuova società. E una volta formata questa, si schiererebbero contro, per andare oltre, più lontano.
Z- …
Chumberas y alacranes è il titolo di un altro dei suoi libri. E sono forse questi, i fichi d’india e gli scorpioni, i punti cardinali della geografia di quest’uomo. Che si abbandona poco alla comodità di una sedia. Un incontrolado. Un animale di confini. Abel Paz ha l’ombra di chi ha tastato bene gli angoli della reclusione, lo sguardo di chi conosce gli orizzonti della terra riarsa.
(una vendicatrice delle umane sofferenze)
1 In “Cronaca appassionata della Columna de Hierro”, Ed. italiana a cura di Mario Frisetti, Autoproduzioni Fenix, Torino 2006.
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