sabato 29 settembre 2007

Materiali su Dinero Gratis

13-14 Marzo 2007
Officine via del Pigneto, 215 Roma

Care/Cari
anticipiamo con queste tre brevi traduzioni l’incontro di aprile (due giorni!) con Dinero Gratis di Barcelona (un nome di nomi che comprende Oficina 2004, Mar Traful, Espai en Blanc…) di cui presenteremo il film El taxista ful (per la prima volta nel bel paese) e il primo numero della rivista Vida y Politica (teorie e pratiche per mani nervose e cervelli raffinatissimi ) e ovviamente tutto l’imprevedibile di due giorni che non si sa quando cominciano né quando finiscono…

Ad aprile!


i vendicatori/le vendicatrici delle umane sofferenze


la vita è oggi il campo di battaglia (Espai en Blanc)


... per noi la chiave delle forme di dominio nelle nostre società attuali è la neutralizzazione di ciò che è politico. Nel mondo della precarietà ciascuno sembra giocarsi da solo la propria relazione con il mondo. Se la conserva, il suo successo è suo contro tutti gli altri. Se la perde, il suo fallimento è personale. Paura, senso di colpa e depressione sono i sintomi più evidenti del malessere/malestar...

Di fronte a questo malessere (preferiamo questo termine a quello di sofferenza), abbiamo posto la domanda: come si costruisce oggi una vita politica? Che significa nelle nostre società politicizzarsi o politicizzare un conflitto?


Per una politica notturna (Mar Traful)

Una politica notturna deve farsi

CONTRO la comoda e passiva contemplazione della miseria quotidiana che impregna e soffoca.

A PARTIRE DA un noi zoppicante che si fa strada andando e si nutre della mala sorte e dell’improvvisazione.

PER fare lo sgambetto e cortocircuitare la grande macchina.

ATTRAVERSO gli angusti e interminabili sentieri del gran labirinto, inventando parole e azioni.

SECONDO la nostra capacità di sperimentare, pensare, vivere, resistere e godere… sapendo che oggi siamo pochi e domani forse anche meno.


Alcuni dei suoi principi sono

  1. Il senso comune di due mali sceglie il male minore. Noi ci rifiutiamo di scegliere.

  2. Quando la vita diventa un mezzo per vivere, la vita muore.

  3. Cercare le radici e una maniera sotterranea di perdersi tra i rami.

  4. Quelli che si sacrificano per gli altri finiscono sacrificandoli.

  5. Bisogna liberarsi dal pensiero che fare debba servire per forza a qualcosa.

  6. Proprio perchè sappiamo che possedere è perdere, apriamo spazi di vita che non possono essere chiusi.

  7. Perché non esiste un altro linguaggio, siamo un balbettio nel linguaggio del potere.

  8. Il miglior suicidio è il suicidio senza morte: permette di continuare a sputare.



Alcune riflessioni molto provvisorie sulla precarietà (Espai en Blanc)


  1. La postmodernità è la nostra epoca, in lei pensiamo e (mal)viviamo. La postmodernità radicalizza le logiche e le aporie della modernità. In particolare, il soggetto diventa ingranaggio del sistema, funzionale all’ordine. Ma se la modernità era una mediazione che non riusciva a mediare se stessa, la postmodernità gira ancora di più nel vuoto, senza alcuna capacità di autogiustificarsi.

  2. Nella postmodernità la realtà coincide col capitalismo. Questo significa che tutte le categorie spaziali della modernità (dentro/fuori, pace/guerra, ordine/disordine…) sono saltate in aria. Siamo di fronte a un continuum indiscernibile nel quale si mescolano interiorità ed esteriorità, guerra e pace, ordine e disordine. Non esiste la congiuntura. La congiuntura dev’essere strappata alla realtà stessa. La nostra scommessa è che la lotta che vuol vincere la precarietà può farlo.

  3. La categoria che permette di spiegare tutti i fenomeni che si producono nella postmodernità è quella della mobilitazione (movilizacion). Tutti quanti e ognuno di noi siamo mobilitati. Certamente lo sfruttamento capitalista è parte di questa mobilitazione, ma la mobilitazione proprio perché è una “politica della relazione” significa molto di più. La nostra propria esistenza è questa mobilitazione della vita. Ci mobilitiamo per (ri)produrre questa realtà ovvia che ci frana addosso, quando lavoriamo, quando non lavoriamo, quando cerchiamo noi stessi, quando costruiamo progetti… In questo modo oggi la politica incontra la vita.

  4. Prendere il concetto di biopotere per descrivere questo ingresso della vita nella politica, come un “mettere al lavoro le nostre vite” è insufficiente. Così come viene utilizzato il concetto di biopotere tutte le proposte rimangono dentro la critica dell’economia politica. Il biopotere è un’estrapolazione dallo sfruttamento capitalistico che ha necessariamente due conseguenze: 1) Non si esce dalla centralità del lavoro. 2) Le relazioni di potere, in ultima istanza, si deducono dalle relazioni di produzione. Per questo la politica che si ricava da queste analisi non implica nessun cambio innovatore che corrisponda al nostro tempo. Semplicemente si sostituiscono alcune denominazioni con altre. Per esempio, invece di classe operaia si parla di moltitudine, ma non si sottopone affatto a critica la stessa nozione di soggetto politico e l’idea di politica che questa determina.

  5. La mobilitazione globale della/e vita/e crea, come dicevamo, una realtà nella quale si confondono guerra e pace, ordine e disordine… questa nuova territorialità ha simultaneamente la forma di spazio di frontiera e di supermercato. Nello spazio di frontiera il limite è diventato virtuale. Ci sono infinite frontiere e al tempo stesso nessuna. Uno spazio di controllo assoluto nel quale ciò che sei viene determinato dalle frontiere che ti è permesso di superare. Spazio di frontiera che è anche supermercato dove scegliere liberamente. Sei la marca che puoi comprare. La mobilitazione globale produce un territorio apparentemente pacificato nel quale la catastrofe è immanente/imminente.

  6. Le unità di mobilitazione di questa mobilitazione globale sono gli individui. Gli individui, ovvero, ognuno di noi in quanto centro di relazioni. Individuo è colui che pone “io vivo” come centro che articola le diverse identità contingenti: lavoratore, consumatore, cittadino… La novità che comporta la mobilitazione globale sta nel fatto che ti lega quando ti abbandona e, al contrario, ti abbandona quando ti lega. L’“infragilimento” paradossale inerente a questa politica della relazione costituisce l’essere precario.

  7. La mobilitazione globale produce un’individuazione che non è normativa, benché evidentemente la normalizzazione continua a funzionare come una specie di infrapenalità (infrapenalidad). La normalizzazione produceva individui normalizzati ma non isolati, dato che consisteva nell’autoriflessione di un gruppo in relazione a una norma. In cambio, l’individuazione effetto della mobilitazione globalizzatrice produce individui singolari nel loro radicale isolamento. Precarietà significa star solo di fronte alla realtà.

  8. Per questa ragione la precarietà non è qualcosa che ci succede e che può smettere di succederci. La precarietà non è qualcosa di accidentale ma piuttosto un carattere veramente essenziale di ciò che in questa società possiamo essere. La precarietà rende fragile il nostro stesso voler vivere (querer vivir), e nella misura che lo fa, ci imprigiona. In altre parole: al di là della dualità inclusione/esclusione che la mobilitazione impone esiste un infragilimento del voler vivere prodotto dalla paura. La società postmoderna è una società della paura e della speranza. Le due modalità di controllo sul voler vivere.

  9. Se la questione della precarietà non è tanto essere soggetti alla esclusione/inclusione, come questo infragilimento che in entrambi i casi si produce, e che ci congela la stessa voglia di vivere, che ci attacca nel più profondo e ci trasforma in carne da psichiatra, allora è chiaro che la propria vita si è trasformata nel campo di battaglia. Che la vita è oggi il campo di battaglia significa che la vita lotta contro la vita (l’altro) e anche contro la morte (disoccupazione). Detto in altro modo: quando la vita è il campo di battaglia il potere funziona e ci si impone come il codice “aver denaro/non-aver denaro”. Questo codice organizza la vita e, facendolo, precarizza le nostre vite. L’obiettivo dev’essere cortocircuitare questo codice. Il “denaro gratis”1 è questo tentativo.

  10. La parola d’ordine che fu valida per tanti anni, quella che univa Marx e Rimbaud, “trasformare la società e cambiare la vita”, dev’essere oggi ripensata completamente. Quando quello che è in gioco è la nostra propria esistenza, perché la mobilitazione effettua una guerra contro tutti noi, la vita non appare più come la soluzione ma diventa il problema stesso. Quando la vita è il vero campo di battaglia non è più sufficiente criticare la vita quotidiana, né pretendere di intensificare la vita. Affrontare la vita come il nostro problema presuppone guardare dritto in faccia- senza prepararsi un cammino di ritorno- ciò che è l’essere precario.

  11. Per capire come funziona l’essere precario si deve tenere in conto che, anche se la precarietà è sociale, la precarietà come tale si vive individualmente. Quest’affermazione è la chiave dato che in essa si concentra tutta la potenza, e al tempo stesso tutta la debolezza di una lotta che prende la precarietà come obiettivo da attaccare. La precarietà, attraverso la paura e la speranza, ci configura in quello che siamo, ovvero, come essere precario. Parlare di precariato come soggetto collettivo non è altro che pretendere di imporre artificialmente un orizzonte costitutivo a qualcosa che, nella sua essenza, è individuale e paradossale.

  12. Se l’essere precario ha questo carattere paradossale, sociale e al tempo stesso individuale, è evidente che le forme tradizionali di politica non servono. Con questo vogliamo dire che una politica di lotta contro la precarietà dev’essere completamente reinventata. Tra le altre cose, perché la politicizzazione non passa più per la coscienza di classe. La coscienza di classe permetteva di raggiungere l’universale dall’autoconoscenza concreta dello sfruttamento. In cambio, la politicizzazione dell’essere precario ci espone alle intemperie e ci porta a dover creare, a partire da noi stessi , l’alleanza di amici che non esiste.

  13. In fondo, una politica che voglia attaccare la precarietà dev’essere una politica del voler vivere. Ciò significa che questa politica, proprio perché guarda dritto in faccia l’essere precario come il paradosso che abbiamo descritto, dovrà chiamare a raccolta due componenti: l’odio e la trasversalità.

    1. L’odio verso la vita come prova. Dobbiamo riappropriarci dell’odio. Il precario deve odiare la sua vita, deve essere capace di segnare il confine tra ciò che vuole vivere e quello che non è disposto a vivere. Questo odio libero è la potenza di svuotamento del suo essere precario.

    2. b) La trasversalità come strategia. Questa nuova politica dev’essere completamente trasversale. Trasversalità significa che non c’è un fronte di lotta privilegiato (per esempio: il lavoro), ma che il combattimento si svolge contro la propria realtà intesa come un continuum di fronti di lotta. Evidentemente questa trasversalità suppone anche il rifiuto di occupare una determinata identità. Lottare contro la precarietà è attraversare tutti i fronti di lotta senza rifugiarsi in un’identità che, per lo più, sarebbe sempre imposta. Come i wobblies americani si organizzarono attraversando le differenti divisioni etniche, tecniche, di genere… Il precario che lotta in questo modo è capace di disoccupare l’ordine (desokupar el orden) e aprire una terra di nessuno. La/e terra/e di nessuno piantate nello spazio di frontiera sono i luoghi dove riprendersi per tornare ad attaccare il codice del potere.

  14. L’odio verso la vita e la trasversalità sono le armi che espellono la paura e la speranza. Sono loro che minano l’essere precario e ci mettono al di là dell’isolamento di ognuno. Così si annichila ciò che ci divide, e allora scopriamo che possediamo un’interiorità comune. Tutti noi che lottiamo contro la realtà possediamo un’interiorità comune. L’interiorità comune è lo spazializzazione (espaciamiento) del voler vivere.

  15. Una politica contro la precarietà che fa della vita un campo di battaglia, una politica del voler vivere dovrà sempre mantenere queste due dimensioni(personale e collettiva) permanentemente unite. Per questo bisogna ripensare tutto di nuovo. Che presuppone politicizzarsi oggi? Cos’è un’alleanza di amici? Come riempire la terra di nessuno col nostro malessere? Come fare del voler vivere una sfida? Saremo capaci di rispondere a queste domande che ci interrogano soltanto se facciamo effettivamente della vita il nostro campo di sperimentazione.


MANIFESTO DEL DENARO GRATIS

Da tempo il cielo è caduto. Da tempo la notte ci possiede e siamo notte. Vedo la luce del vicino accesa e non saprò mai chi è. La critica del lavoro è sempre stata il perno di ogni politica sovversiva. La critica si faceva sempre a partire da un punto: un’altra forma di organizzazione sociale, una vita altra... Ora il punto ci ha abbandonato. Di fatto, molti ci hanno abbandonato. Solo la speranza voleva rimanere con noi. Abbiamo dovuto ucciderla. Da allora ci sentiamo più leggeri e possiamo cominciare a volare. Un volo diretto verso un orizzonte d’acqua. E un orizzonte di fuoco. Fuoco e acqua per distruggere questo mondo. Effettivamente questo mondo merita solo di essere distrutto perché possa vivere il mio voler vivere che è il nostro voler vivere. La politica notturna non è un raggio di luce nel buio: è un serpente in agguato. Pronto a colpire perché non ha smesso neppure un momento di farlo. Colpire te per esempio. Le tue sicurezze che sono l’ossigeno del sangue che gonfia il tuo cuore. Le tue verità che sono barchette di carta che navigano nel tuo cervello sempre sul punto di naufragare. I tuoi amori che non sono altro che la fotografia ridicola di un tramonto. La politica notturna non promette niente che tu già non sappia. No, non moriremo di vita. La nostra vita è un’avventura in un lunapark. Conosciamo l’inizio e sappiamo perfettamente come andrà a finire. In questo mondo l’unica avventura è fare del nostro voler vivere una sfida. E distruggere questo mondo. Un mondo che non vale nessuna lacrima. Perché la realtà è troppo schifosa. Sotto le sue ascelle è cresciuta un’urbanizzazione infinita che getta nel mare un fiume di sudore pestilenziale. Tra le sue gambe è in atto una guerra feroce senza tregua: tutti contro tutti. Mentre dall’alto Dio se la ride e ogni tanto con la mano spinge qualcuno. Verso il basso. Lo affonda nella sua miseria quotidiana fino a soffocarlo. I cadaveri putrefatti stanno al sole pieni di mosche. Nel culo dell’inferno dove nessuno può sgranchirsi lavoriamo con luci fluorescenti. Viviamo morendo in un giorno che non ha fine. Assaggiamo la morte. Sono secoli che non sentiamo l’aria umida che agita i rami di un mandorlo in fiore. Non esiste il fuori. Solo questa realtà oscena che non nasconde niente. Siamo ombre divorate dalla paura che vagano in cerca di un amico. La paura è il messaggio. La realtà è oscena perché non smette di ingoiare denaro. Nella sua vagina introduciamo monete per comprare un po’ di tranquillità in vista del futuro. Ci costa ammettere che non c’è futuro. La realtà caca denaro e noi corriamo premurosi in cerca di briciole. Quando oseremo sputarle in faccia la sua abiezione?


L’economia è un gran casino
dove la roulette decide, minuto per minuto, il prezzo della vita
E io, ogni giorno che passa rimando la mia morte
mentre l’indice Nasdaq scende.
Anche l’ascensore scende.
Se potessi un giorno toccare il fondo!

La libertà è un carcere sull’orlo del mare.

Se tutto mi lega
se la porta che si apre non dà Fuori
se i miei sogni sono incubi senza un finale
se l’unica finestra che ho è la televisione. Come ho potuto?
Da dove ho preso la forza per pensarlo?
Denaro gratis


Il denaro è un codice: avere denaro/non avere denaro. Questa differenza fa funzionare la macchina di ripetizione chiamata realtà. Nulla sfugge a questa differenza, tutto ci riporta a lei... e così si (ri)produce l’ordine monetario, vale a dire, l’ordine. E non succede niente. Non succede mai niente. La violenza della moneta esclude e obbliga al lavoro. Il denaro gratis, in cambio, blocca questo codice e attacca la realtà. Il denaro gratis è una moneta vivente. Moneta perché è il risultato di uno scambio strano: espropriazione di merci, sviamento della logica del capitale... Vivente perché, per il modo in cui si dà, è una vittoria contro la paura e la solitudine. Come moneta vivente che è, il denaro gratis non si piega mai al codice. Per questo il denaro gratis non si chiede, si impone. Più esattamente: ci diamo denaro gratis. E possiamo farlo sempre anche se siamo prigionieri di noi stessi. Anche se non lo sappiamo spiegare molto bene. Basta volerlo. L’istante che voglio offrirti è una pietra trasparente fatta di luce che quando la lanci nel lago non fa rumore. Ma questo istante non esiste. Posso solo darti denaro gratis. Amico, prendi la mia mano. L’esperienza del denaro gratis produce danno. Quale esperienza se è vera non è dolorosa? La moneta vivente marchia il nostro corpo ma ci fa più coraggiosi. E più liberi. Vomita l’essere che siamo. Preferirei non allontanarmi. Andiamocene dove finalmente posso guardarti negli occhi. Non lasciamo dietro niente, solo quella vita nostra incapace di seguirci. La pietra ferita dal freddo non dirà la risposta. Il denaro puzza di morte e proprio perché è morto può accumularsi. Il denaro gratis ci libera dal denaro. Il cielo è caduto e s’annoda tra le mie gambe per non farmi andare. Se la realtà è impazzita dobbiamo inventare concetti deliranti. Il denaro gratis non ci appartiene: è di tutti e, al tempo stesso, di nessuno. È un grido di schifo contro il mondo. È un grido di guerra contro questo mondo. È il grido del voler vivere.

1 Il denaro gratis: Non è una rivendicazione. E’ un grido di guerra, un richiamo alla riappropriazione collettiva della ricchezza. Un grido di schifo contro la miseria della vita quotidiana.

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